Con l’espressione “Affidamento dei figli” si definisce il modo con cui ripartire ed esercitare la potestà genitoriale sui figli minorenni in situazioni di non-convivenza dei genitori.
A tal proposito, l’articolo 155 del codice civile (come modificato dalla legge n. 54 del 2006) afferma il principio della bigenitorialità, al quale i giudici che pronunciano la separazione ed il divorzio devono attenersi: anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Pertanto la relazione genitore-figlio deve essere tutelata e mantenuta al di là della cessazione della convivenza dei genitori
Prima del 16 marzo 2006 era previsto come regola l’affido esclusivo che limitava l’esercizio della potestà genitoriale di un genitore (detto genitore non-affidatario) mentre costituiva eccezione l’affido congiunto applicato se richiesto da entrambi i coniugi in base alla normativa sul divorzio del 1970.
Con l’entrata in vigore della nuova Legge 8 febbraio 2006, n.54 (cd. legge sull'”affido condiviso“) si è operata una rivoluzione copernicana sancendo per legge il Principio di bigenitorialità ovvero il diritto dei figli a continuare a vivere in modo alternato con ciascun genitore, mantenendo rapporti equilibrati con entrambi i genitori anche dopo la cessazione della loro convivenza. Entrambi i genitori continuano infatti a mantenere l’esercizio diretto della potestà genitoriale che potranno esercitare o in modo congiunto o disgiunto.
In particolare, l’articolo 155 del codice civile è stato sostituito dal seguente: «Art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli). Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1. le attuali esigenze del figlio;
2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4. le risorse economiche di entrambi i genitori;
5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Dopo l’articolo 155 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, è stato inserito il seguente art. 155-bis. – (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso). Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile”.

L’affido condiviso è dunque oggi l’unica forma di affidamento dei figli includendo l’eccezione dell’affido a un solo genitore quando il comportamento dell’altro genitore nei confronti del figlio sia contrario all’interesse del minore stesso.

Solo in tal caso potrà essere limitata la frequentazione ma non la potestà di quel genitore. Non sono considerati validi motivi per l’affidamento a un solo genitore: il conflitto tra i genitori, se questi singolarmente non si comportano in modo contrario all’interesse del minore, la lontanaza fisica dei due genitori, la tenera età del minore.

L’affido condiviso consente l’esercizio della potestà anche in modo disgiunto cosicché ciascun genitore è responsabile in toto quando i figli sono con lui. Al contrario del precedente affido congiunto che richiedeva sempre la completa cooperazione fra i genitori, l’affido condiviso disgiunto è applicabile e utile soprattutto in caso di conflitto, poiché suddivide in modo equilibrato le responsabilità specifiche e la permanenza presso ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi, ma disaccoppiandoli nel tempo e nello spazio.

Risolvendo una lacuna obiettivamente ingiustificata per i giudizi di separazione, la nuova formulazione del l’art. 155-sexies prevede inoltre che, prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti temporanei, il giudice dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.

Si è voluto così recepire un principio, quello dell’audizione del minore in tutti i procedimenti giudiziari che lo riguardino, già garantito da diverse convenzioni internazionali nonché dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini (Strasburgo, 1996), allineando il giudizio di separazione a quello di divorzio (ove era già previsto in caso di necessità, art. 4, comma 8, L. 898/1970) e al giudizio per dirimere il contrasto tra i genitori nell’esercizio della potestà (art 316 c.c.).

Pur non chiarendo la norma se si tratta di un obbligo del giudice ovvero di una mera facoltà, tale esplicita previsione deve essere salutata con apprezzamento, pur necessitando, in sede attuativa, dell’adozione di opportune cautele e garanzie affinché al minore non sia portato un pregiudizio ulteriore dalla sua partecipazione al procedimento e dalla consapevolezza di contribuire in maniera determinante alla decisione in materia di affidamento.

Daniela Marzano